Il Governo Meloni taglia gli Incentivi al “rientro dei cervelli”
In data 16 ottobre 2023, il Governo ha presentato un Decreto Legislativo che propone importanti modifiche alla fiscalità internazionale, con particolare attenzione alla normativa fiscale che riguarda i "lavoratori impatriati". Questa riforma è destinata a introdurre nuove regole, portando a un drastico restringimento dell'ambito di applicazione degli incentivi fiscali a favore dei lavoratori che rientrano in Italia.
In particolare , a partire dal 1° gennaio 2024, sono abrogati l'art. 16 del DL 147/2015, che trattava gli incentivi fiscali per i lavoratori in rientro dall’estero e l’art. 5, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del DL 34/2019, che invece ne prevedeva la proroga.
Pertanto, le vecchie disposizioni rimarranno in vigore solo per coloro che trasferiscono la residenza fiscale in Italia entro l'anno 2023. Queste regole prevedono l'agevolazione fiscale solo per i redditi da lavoro dipendente, assimilabili a quelli da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo, mentre escludono i redditi d'impresa.
Viene ridotto il limite massimo al reddito agevolabile e la percentuale di non imponibilità dei redditi oggetto di agevolazione è ora del 50%, a differenza del 70% (o 90% per i lavoratori nel Centro-Sud) previsto per i vecchi impatriati.
Per beneficiare degli incentivi agli impatriati nel 2024, i lavoratori dovranno rispettare una serie di requisiti: non essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre anni precedenti al trasferimento, impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno cinque anni, svolgere l'attività lavorativa in Italia in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un datore di lavoro diverso da quello per cui lavoravano all'estero prima del trasferimento e non appartenente al medesimo gruppo, svolgere l'attività lavorativa per la maggior parte del periodo d'imposta in Italia, appartenere alla categoria di lavoratori con requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Queste nuove regole comportano quindi un allungamento dei periodi di residenza all'estero e di permanenza in Italia rispetto alle disposizioni precedenti (da 2 a 3 anni e da 2 a 5 anni, rispettivamente). In caso di mancata permanenza fiscale in Italia per almeno 5 anni consecutivi, il lavoratore perde i benefici e l'Agenzia delle Entrate può recuperare le imposte risparmiate, applicando le relative sanzioni e interessi.
La riforma prevede anche che i nuovi incentivi fiscali non siano più applicabili ai lavoratori che tornano in Italia per svolgere attività d'impresa, escludendo quindi i redditi d'impresa dalla nuova normativa.
Questa riforma ha sollevato numerose preoccupazioni tra i lavoratori qualificati che avevano acquisito esperienza all'estero e desiderano applicarla in Italia. La nuova disposizione, inoltre, penalizza quei lavoratori che intendono continuare a lavorare per lo stesso datore di lavoro o per uno appartenente allo stesso gruppo, a dispetto delle competenze acquisite all'estero.
Molti lavoratori che avevano progettato il loro ritorno in Italia potrebbero scoprire che le norme di incentivo fiscale di cui pensavano di beneficiare, saranno invece molto meno vantaggiose rispetto a quanto potevano prevedere al momento della decisione del loro rientro.
La riforma prevede anche che i benefici fiscali siano concessi esclusivamente per un periodo di cinque anni d'imposta, senza la possibilità di prorogare l'applicazione per ulteriori cinque anni, come avveniva in passato in caso di acquisto di una residenza o in presenza di prole minorenne.
Tuttavia, resta valida la disposizione che consente ai contribuenti che non sono stati iscritti all'AIRE per il periodo trascorso all'estero di poter dimostrare la residenza fiscale estera sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni con il Paese estero.